Nella ricostruzione della storia di Bitritto, innumerevoli sono i fili che legano le vicende del paese a quelle del territorio di cui fa parte, cioè la conca barese: si comincia dalla descrizione della grotta Mapane , analoga, per assimilazione territoriale, agli insediamenti antropici protostorici tipici di tutto il territorio di Bari.
Le prime comunità umane residenti nella zona dell’attuale Bitritto dovevano dunque essere presenti in ipogei carsici, successivamente trincerati e poi agglomerati in villaggi (vici), corrispondenti alle antiche contrade oggi denominate San Marco, San Giovanni, Randa ed altre; villaggi di età greco-peuceta di cui esistono testimonianze archeologiche.
Nell’evoluzione dal sistema vicano a quello paganico, si ipotizza quindi l’esistenza dell’antico “pagus” di Bitritto nella zona attualmente nota come il “Pendìo”, che doveva verosimilmente essere l’acropoli, il punto più alto, meglio difendibile, più salubre, il meno soggetto al ristagno di acque meteoriche, ben collegato al reticolo viario, vicino alla fonte d’acqua di due rami di una lama e nelle immediate vicinanze di terreni fertili .
Il pagus protourbano del Pendìo, sviluppatosi intorno al VII – VI secolo a. C., a un certo punto, intorno al IV secolo, doveva però essere diventato insufficiente a contenere l’aumento della popolazione che, analogamente all’esempio della vicinissima Ceglie, si sarà inurbata a ridosso dell’acropoli, cioè a nord-ovest , dando vita ad una civiltà di rilevante sviluppo, come testimoniano i reperti vascolari della necropoli di Sant’Andrea.
In età romana, poi, sorse una “villa” nella zona corrispondente all’attuale castello: ci sono infatti chiare tracce dell’esistenza di torchi, vasche per la lavorazione e contenitori per olio e vino sotto l’ala nord-est del castello. L’importanza di questo insediamento produttivo romano sicuramente era dovuta anche al fatto che era collocato in prossimità del passaggio del decumano massimo del territorio di Bari (l’ager varinus) e che poco lontano passava anche il cardo massimo, corrispondente alla via Cardo-Carrera .
Trae allora ancora più forza ed efficacia la tesi, già argomentata in passato, dell’origine del toponimo di Bitritto dal termine latino “Vitaritum” (vigneto): la domus romana presso la quale si svolgeva la lavorazione di olio e vino, sita in prossimità di importanti vie di comunicazione, aveva attorno a sé ricche campagne prevalentemente coltivate a vite, che d’altra parte accanto all’olivo e al grano era la più antica coltivazione mediterranea, e ricavava la sua forza economica proprio da questa attività.
Successivamente alla caduta dell’impero romano e alla guerra greco-gotica, sorgono insediamenti longobardi, come la prima elevazione, a livello del basamento, della Casa – torre sita in piazza Leone, originariamente posto di guardia a difesa dell’abitato.
Nel periodo bizantino, Bitritto si espande poi, con le caratteristiche di un villaggio (chorion) nella zona a sud dell’antico pagus del Pendìo, con reticoli viari (tra via Minghetti, via Monaco e via Loconte) di ascendenza sia araba che bizantina, una comune “koinè” urbana panmediterranea ).
All’incirca nella stessa fase avviene la penetrazione di comunità monastiche nel territorio: così come è documentato anche in altri luoghi, monaci orientali e poi benedettini occupano cavità carsiche ed ereggono chiese e monasteri. E’ il periodo in cui si sviluppa, anche a Bitritto, il culto di San Michele Arcangelo e si costruisce l’omonima chiesa, sita fuori del centro abitato come attestano anche i documenti dell’epoca.
La chiesa di San Michele Arcangelo, poi diventata Chiesa Collegiata di Bitritto con annesso un monastero, conteneva un antichissimo bassorilievo, ora misteriosamente scomparso ma di cui esiste documentazione fotografica, in cui la figura del Cristo benedicente tra la Vergine e l’Arcangelo Gabriele mostra chiare influenze bizantine che si possono ricondurre alla chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli.
In epoca normanna, Bitritto ha nuovamente cambiato fisionomia: è ora un centro fortificato, cinto da solide mura, all’estremità delle quali, sul sito della precedente villa romana forse demolita o andata distrutta, è stato edificato un poderoso castello. Castello che assume il ruolo di edificio-simbolo negli anni successivi: nei secoli che vanno dall’XI al XV, le vicende del castrum bitrittese sono uno spaccato della storia del Basso Medioevo nell’Italia Meridionale. Tra le mura e i camminamenti antichi sembra di leggere infatti lo scontro tra i poteri forti del Medioevo l’autorità religiosa, l’autorità regia, i feudatari laici – ripercorrendo gli avvenimenti di una lotta lunga e inarrestabile, punteggiata dai caratteri aspri degli assedi e delle battaglie, per il possesso di un castello e del suo casale. Le secolari dispute, sia militari che giuridiche, che testimoniano quanto dovesse essere ricca e fiorente l’economia bitrittese, se era in grado di scatenare interessi così tenaci, si concludono definitivamente con l’attribuzione del feudo all’arcivescovo di Bari: e si apre così un lungo periodo della storia di Bitritto, che fino all’età moderna condividerà con Cassano il singolare titolo di possesso feudale della curia barese.
Nel Cinquecento e nel Seicento il paese appare dunque dominato dalle figure vescovili e dal clima della Controriforma tridentina: all’erezione della Chiesa Matrice, dedicata alla Madonna di Costantinopoli e legata alla fine dell’epidemia di peste, seguono l’istituzione di confraternite laicali e la costruzione di nuove chiese, oltre alle visite pastorali dei vescovi Puteo e Riccardi.
Il clima sociale e religioso comincia a mutare nel secolo successivo, quando la riedificazione della Chiesa Matrice, ricostruita dalle fondamenta, avviene per iniziativa dei cittadini ed è finanziata con denaro pubblico, ricavato dall’autotassazione che aggiunge balzelli straordinari a quelli stabiliti per disposizione regia dal catasto onciario.
Alla fine del Settecento, come accade d’altra parte in tutto il Regno di Napoli, la presenza laica diventa in effetti emergente ed inizia ad acquisire un’importanza, sia economica che politica, sconosciuta in passato. Ma nel caso di Bitritto la nuova classe sociale borghese si scontra con il potere feudale vescovile, per cui il Comune (chiamato all’epoca Università) si pone per la prima volta come soggetto autonomo nei confronti della Mensa Arcivescovile di Bari.
L’aspirazione popolare ad affrancarsi dal barone-arcivescovo, oltre alla secolare opposizione città – campagna, sono le motivazioni che probabilmente stanno alla base della scelta, nel 1799, di sostenere le truppe sanfediste contro la Bari repubblicana: il vescovo Gennaro Maria Guevara, infatti, come tutto il clero barese, era passato nelle file dei rivoluzionari, e lottare, paradossalmente, contro l’albero della libertà di ispirazione francese, significava nel caso di Bitritto lottare invece per la propria libertà dall’antico potere feudale.
Nel decennio napoleonico (1806-1815) la legge dell’abolizione del feudalesimo del 2 agosto 1806, unitamente all’emanazione di altre disposizioni antifeudali, elimina finalmente i diritti feudali dei baroni, e il Comune inizia a darsi precise regole con l’istituzione degli Statuti Municipali.
Ma se dal punto di vista politico i tempi iniziano a cambiare, per quel che riguarda la vita sociale e soprattutto familiare i mutamenti appaiono molto più lenti: all’inizio dell’Ottocento, la donna e i figli sono ancora visti come proprietà del padre-patriarca e sono quindi privi di diritti giuridici. I figli sono “famuli” nel significato etimologico di servi, che occorre emancipare con apposito rito per renderli uomini liberi, e il matrimonio è una complessa istituzione ancora regolata da una mescolanza di diritto romano e diritto longobardo, così come è fissata nelle Consuetudines barenses di origine medievale.
Durante la Restaurazione, la storia di Bitritto non si discosta da quanto avviene nel barese e in tutto il Regno di Napoli: sorge una “vendita” della Carboneria, denominata La Speranza” e controllata dalla polizia borbonica; nel 1821, ci sono numerosi carbonari bitrittesi, nella legione della provincia di Bari comandata dal colonnello Carlo Nicolai di Canneto, che combattono nell’esercito del generale Pepe sconfitto dagli Austriaci ad Antrodoco.
Alla vigilia della proclamazione del Regno d’Italia, la fine imminente del potere arcivescovile baronale a Bitritto è segnata da un evento clamoroso: la devastazione di terreni appartenenti alla curia da parte di numerosi cittadini. Già a Santeramo e a Gioia del Colle nei mesi precedenti si erano verificati tumulti e disordini; a Bitritto, nel febbraio 1861, l’ira popolare troppo a lungo repressa esplode, devastando il giardino della Mensa vescovile ed aprendovi il varco per una strada, più volte regolarmente richiesta e negata dal capitolo, in direzione di Sannicandro.
La sistemazione delle strade e dell’urbanistica fu in effetti una delle principali preoccupazioni dell’amministrazione comunale nel periodo post-unitario, che vede una notevole espansione del centro abitato. Ma la situazione economica a fine secolo, dopo la crisi vinicola ed agraria del 1888 seguita alla rottura del trattato commerciale con la Francia, si aggrava soprattutto per quanto riguarda piccoli proprietari e contadini.
A numerosi bitrittesi, in seguito alle difficoltà che rendono problematica la sopravvivenza, non resta che una sola possibilità, comune a tanti lavoratori meridionali: l’emigrazione. Nel primo decennio del Novecento partono da Bitritto a centinaia, prevalentemente diretti negli Stati Uniti, spesso portando con sé intere famiglie; ma il fenomeno non resta circoscritto a quegli anni poiché conosce una nuova fase ancora imponente nel periodo del secondo dopoguerra, realizzando una tendenza che si fermerà solo negli anni Ottanta.
Nel frattempo, chi resta vede completare un’importante opera pubblica: l’Acquedotto Pugliese, sostenuto dall’illustre concittadino, all’epoca Ministro ai Lavori Pubblici, Nicola Balenzano, ed ultimato nel 1915. Seguono, negli anni Venti e Trenta, la costruzione della fognatura e l’installazione della rete elettrica e di quella telefonica. L’impulso all’espansione edilizia subisce una brusca battuta d’arresto negli anni della seconda guerra mondiale, quando tutte le risorse, perfino i monumenti in bronzo, sono dirottate a scopi bellici. Ma nel 1944 gli infissi del Palazzo Municipale, andati in frantumi in occasione dell’ultima incursione aerea del capoluogo, vengono riparati con i vetri dei quadri di personalità del cessato regime fascista: un primo segnale di volontà di ricostruzione post-bellica.
La ricostruzione vera e propria avviene poi dagli anni Sessanta e Settanta, attraverso un processo di trasformazione che si accentua con gli anni Ottanta e Novanta e che arriva fino ai nostri giorni, e vede da una parte una notevole crescita democratica, politica, sociale della cittadinanza, dall’altra un incalzante e diffuso benessere economico, un aumento demografico ed una consequenziale e rapida espansione urbanistica, che colloca ormai Bitritto all’interno della più vasta area metropolitana.
Le notizie sono tratte da: BITRITTO NELLA STORIA DELLA TERRA DI BARI
( Giugno 2007 – WIP EDIZIONI ) di Vito DE BELLIS e Rosa COLONNA
Pagina aggiornata il 28/11/2023